Codice Civile art. 156 bis - Cognome della moglie (1).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Cognome della moglie (1).

[I]. Il giudice può vietare alla moglie l'uso del cognome del marito [143-bis] quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole, e può parimenti autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall'uso possa derivarle grave pregiudizio.

(1) Articolo inserito dall'art. 38 l. 19 maggio 1975, n. 151.

Inquadramento

Per effetto del matrimonio, la moglie può aggiungere al proprio cognome quello del marito conservandolo durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze (art. 143-bis). Di norma, in conseguenza del divorzio, la donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio; per effetto della separazione, invece, la perdita del cognome maritale non è una conseguenza legale della pronuncia sullo status bensì una facoltà che il giudice può concedere su richiesta di uno dei coniugi (e in ciò il nuovo art. 156-bis si differenzia rispetto alla disciplina previgente dove era previsto il solo diritto del marito a inibire l'uso del proprio cognome alla moglie).

Cognome maritale

La disciplina previgente era contenuta nell'art. 156 (vecchia versione) e prevedeva che dalla separazione personale dei coniugi, ove venisse disposta per colpa della moglie, potesse farsi discendere anche il divieto per costei di usare del cognome del marito, ma non regolava il caso inverso di richiesta della moglie, in seguito a separazione avvenuta per colpa dell'altro coniuge, di essere autorizzata a non assumere il cognome di lui.

La Corte Costituzionale aveva avuto modo di evidenziare che la diversità del trattamento nei due casi si poneva in palese contrasto con il principio regolatore del rapporto matrimoniale sub specie di eguaglianza giuridica e morale dei coniugi e per l'effetto aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 156, comma 5, nella parte in cui escludeva la pretesa della moglie a non usare il cognome del marito, in regime di separazione per colpa di quest'ultimo, nel caso che da quell'uso possa derivarle un pregiudizio (Corte cost. n. 128/1970). L'orientamento del giudice costituzionale è permeato nella nuova versione legislativa della disposizione come resa viva dall'art. 156-bis. Il nuovo regime conferisce al giudice il potere di incidere sul cognome maritale in due distinte ipotesi: 1) in primo luogo, il giudice può vietare alla moglie l'uso del cognome del marito quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole; 2) in secondo luogo, il giudice può autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall'uso possa derivarle grave pregiudizio. In entrambi i casi, posto che il matrimonio non è dissolto ma solo temporaneamente affievolito, si assiste a una eccezione rispetto alla regola generale consistente nella persistenza del cognome rappresentativo dell'unità familiare. Ne consegue che l'interessato deve offrire prova dei fatti posti a fondamento della richiesta. Nell'uno e nell'altro caso, il fulcro applicativo ruota attorno al «grave pregiudizio» da intendersi come rischio di un nocumento (quindi anche solo potenziale e non necessariamente attuale) che il coniuge potrebbe subire per effetto del persistente utilizzo del cognome maritale da parte della moglie. Non è necessario ai fini dell'accoglimento che vi sia stata pronuncia di addebito e nemmeno è necessario che la richiesta sia proposta durante il giudizio di separazione potendo muovere da fatti anche successivi. In merito alla interpretazione del concetto di “grave pregiudizio” sono diverse le posizioni dottrinali. Secondo alcuni, si tratterebbe di verificare se l'utilizzo del cognome generi o meno discredito a chi lo porta o a chi ne è il titolare, accedendo al contrario altri Autori, a una lettura che predica una valutazione tendenzialmente discrezionale del giudice. L'opinione preferibile propone una lettura in senso oggettivo della noma ritenendo che il grave pregiudizio debba tradursi nella lesione (anche solo potenziale) di un interesse morale o patrimoniale del coniuge.

Profili processuali

Il potere del giudice ex art. 156-bis, postula una richiesta del coniuge interessato, la quale, pur non abbisognando di formule sacramentali, deve essere contenuta inequivocamente nello atto introduttivo, integrando una domanda autonoma rispetto a quella di separazione (Cass. n. 2784/1980): si tratta, cioè, di capo decisorio sottoposto al principio della domanda e per cui non è ammessa statuizione officiosa del tribunale. L'utilizzo del cognome maritale da parte della moglie è nella disponibilità dei coniugi: ne consegue che essi ben possono farne oggetto dei loro accordi consensuali sottoscrivendo una relativa condizione.

Bibliografia

Bruno, Le controversie familiari nell'Unione Europea. Regole, fattispecie, risposte, Milano, 2018; Buffone, Fondo a tutela del coniuge in stato di bisogno (DM 15 dicembre 2016) in Guida dir. 2017, 7, 13 e ss.; Buffone, Le novità del “decreto filiazione”, Milano, 2014; Sesta - a cura di -, Codice della famiglia, Milano, 2015.

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